Milano, i palazzi firmati dai maestri del ‘900 a rischio: “Salviamo la città storica”
di Alessia Gallione – in “Repubblica – Milano” del 29.06.2020
Tre edifici da ristrutturare, firme prestigiose come Gio Ponti e Portaluppi contano sui libri e non nei cantieri. La soprintendenza interviene in corso Italia, Lamarmora e via delle Orsole e apre il dibattito su come rinnovare il passato senza stravolgerlo.
Il più famoso è il palazzo di corso Italia che Gio Ponti, in squadra con Piero Portaluppi e Antonio Fornaroli, progettò nella Milano del Dopoguerra – era il 1958 – per l’allora Ras. Uffici d’autore, al centro di un progetto di ristrutturazione di Allianz, su cui però adesso è calata la parziale tutela della Sovrintendenza. Ma nella città che cambia e ricostruisce se stessa, che muta funzioni e forme e rinasce dalle sue ceneri, i Beni culturali stanno valutando altre operazioni. E altri vincoli: da un edificio storico di fine Ottocento in via Lamarmora abbandonato da tempo che dovrebbe trasformarsi in un immobile di dieci piani, alla demolizione e ricostruzione di un altro palazzo firmato da Antonio Cassi Ramelli (l’architetto del Lirico) in via delle Orsole, vicino alla chiesa di Santa Maria della Porta. “Tutti interventi in prossimità di ambiti tutelati e di monumenti, dove le condizioni dell’ambiente, le vedute, lo stesso contesto devono essere preservati con lo strumento della tutela indiretta”, li definisce la soprintendente Antonella Ranaldi. Che apre, però, un “dibattito culturale” più ampio sul “futuro della Milano storica rispetto a mutazioni che pongono interrogativi”.
Eccoli, i tre casi che rilanciano la discussione sulla città dei vincoli. Che da soli, però, insiste Ranaldi, non “bastano” e che rischiano di creare scontri. Il fenomeno è quello delle sostituzioni. “Milano – dice la soprintendente – è una città moderna, ma finora ha concentrato gli interventi contemporanei in determinate zone. Se questi vengono trasferiti nel tessuto storico e come queste operazioni vengono fatte è un tema che richiede una riflessione culturale e una sensibilità diffusa”. Anche e soprattutto quando in gioco ci sono tutti quegli edifici “nati con la ricostruzione del Dopoguerra che, pur essendo moderni, hanno fatto del rispetto delle condizioni dell’ambiente, della scelta dei materiali e delle decisioni compositive un punto di forza, con autori come Ponti, BBPR, Portaluppi e Caccia Dominioni che sono i maestri della scuola milanese”.
E qui si ritorna a corso Italia e al palazzo che la compagnia assicuratrice ha lasciato per trasferirsi nella torre Allianz di Citylife. Il colosso ha deciso di riqualificare la ex sede con un progetto firmato dallo studio internazionale SOM. Efficienza e sostenibilità energetica, un ingresso che si apre sulla corte e facciate completamente rivisitate: via il granito rosso e la sequenza di finestre, avanti con vetro e trasparenze. Ed è proprio questa parte che adesso la Sovrintendenza ha sottoposto a vincolo indiretto – uno strumento meno forte – insieme a tutta l’area intorno a Sant’Eufemia e a San Paolo Converso. Le facciate, in pratica, potranno essere modificate ma dovranno tenere conto maggiormente dell’ambiente. “Istanze che sono in fase di valutazione”, fanno sapere da Allianz, con “il cantiere fermo al netto degli scavi in corso”.
Ma, al di là dei casi specifici, si può rinnovare il passato senza stravolgerlo? È la domanda che l’Ordine degli architetti ha iniziato a porsi. E la ricetta che indica il suo presidente Paolo Mazzoleni è anche una sfida agli stessi professionisti: “Bisogna capire come fare a continuare a usare moltissimi edifici senza eccedere in nessuno dei due sensi: non è possibile mantenere in blocco strutture che non sono monumenti, ma non si può neppure cancellarli facendo finta che non valgano. Si possono fare riscritture, reinterpretazioni e trasformazioni accurate e per questo servono architetti colti che ne conoscano il valore e abbiano la capacità di conservarli”. Esempi, dice Marco Biraghi, vicepreside della Scuola di architettura del Politecnico dove insegna Storia dell’architettura, ce ne sono.
La Torre Galfa, per dire, “pur nella trasformazione ha mantenuto un segno di continuità”. Perché in gioco, dice, c’è “l’anima della città, la sua riconoscibilità”. Per questo, spiega, “la Sovrintendenza fa bene a vincolare per mettere al sicuro il patrimonio”. Certo, “la vita di Milano non è mai stata imbalsamata. Questa è una città che dal 1946 in avanti ha ricostruito se stessa in un inestricabile legame tra moderno e storico, ma anche nel rinnovamento bisogna riflettere l’identità”. Anche Orsina Simona Pierini, che insegna al Politecnico e fa parte della Commissione paesaggio del Comune, parla del “rischio di perdere la nostra identità”. Pensa soprattutto alla Milano del Novecento, quella “che studenti e appassionati di architettura vengono da tutta Europa a visitare”. Edifici d’autore, ma non solo, “che hanno bisogno di sensibilità perché basta pochissimo per devastarne la figura”. Una “preoccupazione”, la sua, rivolta non solo alle demolizioni e ricostruzioni: “Con gli interventi che usufruiranno dell’ecobonus sarà anche peggio perché saranno progetti di manutenzione che come commissione non vedremo neanche”. Il dibattito sulla città dei vincoli è (ri)aperto.
- Antonella Ranaldi, La tutela delle architetture del secondo Novecento a Milano, in Il diritto alla tutela. Architettura d’autore del secondo Novecento, a cura di Gentucca Canella e Paolo Mellano, Franco Angeli, Milano 2019, pp. 165-175
- Nessuno tocchi gli edifici del Novecento, di Fulvio Irace, Repubblica – Milano del 2.07.2020
- Palazzo RAS di Milano: bene al vincolo indiretto e al valore artistico, di Ugo Carughi, Il Giornale dell’Architettura online
- Leggi in conflitto, vincoli, cemento. Sui tetti il Novecento da difendere, di Gangiacomo Schiavi, Corriere della sera Milano del 13.08.2020